Don Giovanni in Sicilia è il romanzo con cui nel 1941, nell'Italia in guerra, si impose il talento magistralmente ironico e appassionatamente amaro di uno scrittore che nasceva alla consapevolezza civile da un'oscura giovinezza fascista. Brancati stesso ha raccontato in pagine di straziante sincerità il proprio passato, l'errore dei suoi vent'anni sprecati, degli anni perduti, per citare il titolo di un altro suo romanzo, nell'enfasi ottusa del regime che gli impediva di scoprire la propria vena più vera, quella appunto dell'ironia, dell'umorismo spietato contro tutti. Con Don Giovanni in Sicilia, il giovane scrittore, ormai sulla via della più sofferta lucidità, affronta il tema del gallismo. E non si accontenta di affrontarlo per se stesso, lo rivela agli italiani, come spiegazione e metafora di tanti loro errori e di tante loro acquiescenze, di tanto loro obnubilamento nazionale. La storia di Giovanni Percolla e dei suoi amici ossessionati dall'idea (e dall'incubo) della donna, mentre tutto si corrompe e precipita intorno a loro, è narrata in una prosa seducente e crudele, corrosiva e accattivante, capace di comunicare insieme con un certo disagio, un'indubbia commozione. La commozione e il disagio che suscita sempre la vita sorpresa quasi a tradimento, nell'atto di consumare un'illusione e una sconfitta.