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La *miglior vita / Fulvio Tomizza

edizione   3. ed
pubblicazione   Milano : Rizzoli, 1977
descrizione   276 p. ; 23 cm.
serie   La Scala


La letteratura italiana è sempre molto avara di romanzi, mentre ha prodotto in abbondanza racconti e prose liriche. Per questa ragione avviene che un lettore, quando si imbatte in un romanzo vero, si muova dapprincipio con qualche difficoltà, dato che si inoltra tra grandi spazi, si situa nella dimensione della storia, incontra personaggi; insomma, scopre l'esistenza di un mondo che non conosceva, ma dove finisce poi per trovarsi a suo agio. Non a caso un romanzo autentico può essere fra gli ospiti più generosi che a un lettore sia dato di incontrare. È un po' quello che succede con La miglior vita, il nuovo romanzo di Fulvio Tomizza. Tomizza è uno dei pochi veri romanzieri dalla nostra letteratura. Lo è per temperamento e per disposizione culturale, al punto che, di fronte alle elucubrazioni e agli snobismi letterari di tutti questi anni, ha continuato ostinatamente a perseguire un ideale preciso di romanzo, anche a costo di pagare con l'isolamento, non soltanto logistico (Tomizza è istriano e vive appartato a Trieste), il prezzo della propria ricerca narrativa. Ma con La miglior vita egli infrange ogni barriera costrittiva per andarsi ad attestare fra quei pochi che oggi sono in grado di costruire un romanzo popolare (da non confondersi con populista), di ampio respiro (per la vastità del disegno narrativo e non per un semplice accumulo di fatti), di impianto storico (dove la storia non ha una funzione "cronologica" ma segue e segna il passaggio tra esperienze e avvenimenti). Per realizzare questo disegno narrativo, Tomizza non ha messo mano a grandiosi progetti, ma ha attuato semmai un'operazione di tipo opposto: si è cioè immerso ancor più, e nel conempo con un distacco che ha accordato maggiore spazio alla sua carica inventiva, nella storia e nella realtà di quel mondo che, a partire dal famoso Materada, fa da sfondo ai suoi libri. Tomizza ha saputo compiere questo atto grazie all'esperienza e alla maturazione di scrittore che lo ha portato a padroneggiare con sicura abilità tecnica e stilistica i materiali narrativi, ma soprattutto a far assurgere a valori universali questo atavico modo di confine. Da sperduto luogo periferico, un posto da cui andarsene, Materada si trasforma così in una zona centrale della letteratura dove installarsi; e l protagonista del romanzo, un umile sagrestano, più che un personaggio esemplare, positivo o negativo che si voglia, diventa una figura emblematica. Martin Crusich, il sagrestano di Tomiazza, segue quotidianamente lo svolgersi della vita della parrocchia che, in una società arcaica e contadina come quella istriana dell'interno, costituisce il centro propulsore di tutta l'attività della zona. E la segue, come un personaggio manzoniano, umilmente; tuttavia, i fatti minuti di tutti i giorni e i grandi sconvolgenti avvenimenti storici di cui è osservatore e cronista lungo tutto l'arco della sua esistenza, dagli inizi del secolo a oggi, maturano in lui la coscienza di essere anche partecipe, e più ancora mediatore tra la mentalità "superiore" dei vari parroci spesso intolleranti che si susseguono nella canonica e la concretezza irriducibile della sua gente. Grazie a questa presa di coscienza, che ha anche valore politico e sociale, può ergersi a testimone della storia e diventare "cantore" dell'epica popolare della sua "parrocchia", sorta per volere di Vnezia nel Seicento e ora rassegnata a perdere del tutto la propria identità.
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